UNA LINGUA CHE SI LEGGE COME SI SCRIVE
Per un Italiano che si accinge a studiare per la prima volta una lingua straniera, la prima difficoltà in cui s’imbatte è la pronuncia. Egli si accorge cioè che tra la parola scritta e quella parlata non valgono più le stesse regole che è abituato a seguire, più o meno consapevolmente, per la lingua italiana. E gli capita di osservare: questa lingua, a differenza dell’italiano, “non si legge come si scrive”. Una più matura riflessione lo porterà poi a comprendere che anche la lingua italiana ha le sue irregolarità o comunque le sue particolari regole in proposito.
Si accorgerà, per esempio, che lo stesso suono (quello della /k/ di “kilometro”) si può scrivere in vari modi: c in “casa”; ch in “chiesa”; q in “questo”; e, se il suono è “doppio”, cc in “accusa”; cq in “acqua”, qq in “soqquadro”, cch in “occhi”. E che la stessa lettera c, oltre ad avere il suono di /k/ come nei casi suddetti, può avere un altro suono (“dolce”), che però può essere scritto in due modi: c in “felice”, ci in “camicia”, e, se doppio, cc in “focacce”, cci in “faccia”. Analogo discorso per varie altre lettere e gruppi di lettere.
REGOLE DI PRONUNCIA DELL’ESPERANTO
L’esperanto è invece una lingua, di cui si può dire veramente “che si parla come si scrive”. In che senso? Nel senso che:
a) ogni lettera ha un suo suono e solo quello, qualunque sia la sua posizione e quali che siano la lettere che la seguono o la precedono;
b) a ogni suono corrisponde una sola lettera;
c) l’accento tonico è ben definito; quindi si sa sempre come una parola deve essere pronunciata.
L’esperanto usa l’alfabeto latino, ma, per poter rappresentare con lettere singole alcuni suoni che di solito nelle lingue europee si rappresentano con gruppi di consonanti, sono state introdotte cinque consonanti “soprassegnate”, cioè dotate di un accento circonflesso (^) sovrapposto.
Poiché per via telematica non è possibile riprodurre queste lettere con circonflesso, useremo, al loro posto, la convenzione suggerita a suo tempo dallo stesso autore della lingua internazionale, L.L. Zamenhof per i casi in cui ci fossero problemi di questo tipo. E’ del resto la stessa convenzione che si usa per i telegrammi in esperanto.
Le cinque consonanti con “cappello” vengono sostituite da cinque “digrammi” formati con la lettera h. Scriveremo cioè:
ch = c + ^
gh = g + ^
hh = h + ^
jh = j + ^
sh = s + ^
Quindi ciascuno di questi digrammi va considerato come una lettera unica. Nel caso di una parola composta in cui si abbia un incontro, per esempio, di una vera C con una vera H, interporremo un trattino tra le due lettere, per indicare appunto che non si tratta di un digramma. Per es.: «chas-hundo» (cane da caccia).
Vi è un’altra lettera con un segno speciale: è la “u breve” cioè la u con sopra un semicircoletto concavo verso l’alto: è il segno che si usa nella metrica latina per indicare appunto le vocali brevi. Qui noi indicheremo tale “u breve” con “û” (o con U^ in caso di maiuscole).
Vediamo ora queste “consonanti con cappello” o “digrammi”:
ch che si pronuncia come il c italiano di “dolce” o il ci di “bacio” (lo stesso suono si rappresenta con ch in spagnolo e in inglese e con tsch in tedesco);
gh che si pronuncia come il g italiano di “gelato” o il gi di “giocare”;
sh che si pronuncia come sc italiano di “scena”, o sci di “sciocco” (lo stesso suono si rappresenta in francese con ch, in inglese con sh e in tedesco con sch);
jh è un suono che non c’è in italiano; corrisponde a j francese, come in “jour” (spesso trascritto con zh: “Zhivago”, “Brezhnev”);
hh è pure un suono non esistente in italiano e corrisponde al ch tedesco di “Bach”, “noch”, “Nacht”, e alla j (“jota”) spagnola di “trabajo”, “Jerez” (è trascritto spesso con kh); questa lettera tende ad essere sempre meno usata in esperanto: per es. si dice ora «kemio» al posto di «hhemio» (chimica).
Delle altre consonanti (senza soprassegno) quelle che presentano differenze di pronuncia rispetto all’italiano sono le seguenti:
c si pronuncia come la z italiana di “pazzo”, “pazienza”; (si ricordi sempre che il suono di una consonante non muta mai, qualunque sia la vocale che la segue; quindi nelle parole «pace, pacisto, paca, paco» il suono della /c/ rimane sempre quello indicato);
g si pronuncia sempre “dura” come g di “gatto” o gh di “ghiro” o di “ghetto”, mai come in “gelato”;
h non è “muta” come in italiano, in francese e in spagnolo, ma ha il suo suono, che è quello che si trova in tedesco (“Haus”) o in inglese (“home”);
k non si usa in italiano, ma naturalmente il suo suono in esperanto è quello della c di “casa” e del ch di “chiesa”;
s si pronuncia sempre come in “sasso”;
z si pronuncia come la s di “cosacco” o di “liberalismo”.
In italiano, come sappiamo, vi sono gruppi di consonanti che prendono suoni particolari (sc, gn, gl); ricordiamoci che in esperanto ogni consonante conserva SEMPRE il proprio suono, quali che siano le lettere che l’accompagnano. Per esempio: «pugno» (pronuncia: pugh-no), «gliti» (gh-liti), «scienco» (szienzo).
Le vocali sono cinque: «a, e, i, o, u» e non presentano problemi. In esperanto non c’è contrapposizione di significato fra vocali aperte e chiuse, a differenza dell’italiano (es.: pèsca, pésca; ròsa, rósa; la Róma, l’aròma).
Vi sono poi due lettere (j, û) che possono essere chiamate “semivocali”, perché debbono sempre appoggiarsi a una vocale, precedente o seguente, con la quale formano un dittongo e quindi una sillaba: «aûto, Eûropo, gaja, homoj, gajni». In esperanto non esistono le lettere q, x, y, w.
Per riassumere, l’alfabeto esperanto è composto da ventotto lettere ed è il seguente:
a b c ch d e f g gh h hh i j jh k l m n o p r s sh t u û v z
I nomi delle consonanti (e delle semivocali) si formano aggiungendo la vocale o: «bo, co, cho, do, fo, go, gho, ho, hho, jo, jho, ko, lo, mo, no, po, ro, so, sho, to, ûo, vo, zo». Per esempio, l’abbreviazione k.t.p. o ktp (kaj tiel plu = e così via, eccetera) si legge ko-to-po.
L’ACCENTO TONICO IN ESPERANTO CADE SEMPRE SULLA PENULTIMA SILLABA, cioè sulla penultima vocale, tenendo presente che j e û non sono vocali, ma formano dittongo con la vocale che le accompagna. Esempi (scriviamo maiuscola la vocale accentata e con trattini la divisione in sillabe):
«hO-mo; hO-moj; ra-pI-da; ra-pI-daj; fa-cI-le; che-vA-lo; sig-nA-lo, mE-tro; te-le-fO-no; Eû-rO-po; aû-to-mo-bI-lo; An-taû; bAl-daû; pe-rE-u; ba-lA-u; re-gi-O-no; na-cI-o; in-ter-na-cI-a; na-cI-aj; in-sti-tu-cI-o; a-po-strO-fo; fi-lo-zO-fo; pa-ra-bO-lo; ma-te-ma-tI-ko».
In alcuni casi, specialmente in poesia, si può usare l’apostrofo come segno di elisione di una vocale. In questi casi l’accento tonico non muta, cioè resta quello che era prima dell’elisione.
Si può sostituire con l’apostrofo la «a» dell’articolo «la» e la «o» finale dei sostantivi. Es.:
de la = de l’; pri la = pri l’; koro = kor’; doloro = dolor’; sinjoro = sinjor’; fundamento = fundament’; movado = movad’; nacio = naci’; koro = kor’; homaro = homar’.
La possibilità dell’elisione consente in poesia di avere parole tronche, che altrimenti ci sarebbero solo nel caso dei monosillabi.
In esperanto le consonanti, all’interno di una parola non composta, sono sempre semplici, anche quando nelle corrispondenti parole italiane si trova una doppia: «lito» (letto); «letero» (lettera); «kuri» (correre) ecc. Questa però non è una regola grammaticale e sono state proposte alcune eccezioni, specialmente per evitare omonimie in nomi geografici; una di queste, ormai entrata nell’uso generale, è: «Finno», finlandese, (per distinguerlo da «fino» = fine) con il derivato «Finnlando», Finlandia. Naturalmente l’incontro di due consonanti uguali può verificarsi nel caso di parole composte: «littuko = lit-tuko» (lenzuolo), «alligi = al-ligi» (legare a, allegare), «misskribo = mis-skribo» svista nello scrivere, lapsus calami) ecc.
E’ importante abituarsi subito alla giusta pronuncia, per non prendere abitudini errate. La regole sono semplici, ma le abitudini della propria lingua possono facilmente portare a pronunce non corrette.
Segnaliamo alcuni errori in cui gli Italiani incorrono più frequentemente:
– mancata pronuncia della h, per cui «havo» (l’avere, i beni) diventa «avo» (nonno), «homaro» (umanità) diventa «omaro» (astice), «haro» (pelo, capello) diventa «aro» (gruppo), «hoko» (gancio) diventa «oko» (ottetto), «horo» (ora) diventa «oro» (oro), «haûto» (pelle, cute) diventa «aûto» (auto, automobile) ecc.;
– l’errore opposto è la pronuncia della h come hh: «horo» (ora) che diventa «hhoro» (coro) ecc.;
– pronuncia della hh come k; «hholero» (colera) diventa «kolero» (collera, ira), «hhoro» (coro) diventa «koro» (cuore);
– pronuncia della s come z, per cui «kaso» (cassa, per valori) diventa «kazo» (caso), «resoni» (risuonare) diventa «rezoni» (ragionare), «resumo» (riassunto) diventa «rezumo» (ronzio ripetuto), «roso» (rugiada) diventa «rozo» (rosa), «peso» (pesata) diventa «pezo» (peso) ecc.;
– pronuncia della z come c, per cui «pezo» (peso) diventa «peco» (pezzo) ecc.;
– pronuncia della jh come gh o viceversa: «ajho» (cosa) diventa «agho» (età), o viceversa;
– accento tonico sbagliato in alcune parole simili a parole italiane; es.: “ùtila” (anziché “utìla”), “ràpida” (“rapìda”), “internàcja” o addirittura “internacha” (“internacìa”), “telèfono” (“telefòno”).
– pronuncia delle consonanti, che in esperanto sono generalmente semplici, come doppie: «kuragho» che diventa «kuraghgho» o simili (questo tipo di errore, dipendente da pronunce regionali italiane, è però meno importante, perché non può portare a equivoci).
Contenuto estratto nel 1999 da www.esperanto.it